
I venti di crisi finanziaria vengono da lontano, non da troppo lontano però.
Non sono le conseguenze di chissà quali tendenze cicliche, sono il frutto di scelte compiute da uomini e donne.
Qual è l'ethos finanziario in America in quest'ultimo decennio?
Quanto era strutturalmente fragile il sistema quando ancora macinava utili e plusvalenze finanziarie elevatissime?
La risposta sta in questa terza domanda a cui cercherò di ridpondere in questo post:
Come sono stati genstiti i risparmi ed i profitti derivati dall'economia reale (cioè dall'economia industriale organizzata da capitale e lavoro)?
L'evoluzione della gestione del risparmio, che siano fondi pensione (in America privati, non c'è un inps), profitti delle imprese o quanto riesce a mettere da parte un dentista di Portland è sempre più nelle mani di fondi di investimento comuni (attività svolta anche dalle grandi merchant bank). La peculiarità di questo sistema è che tu risparmiatore trasferisci i tuoi soldi per un tempo x ad un tasso di interesse molto più alto di quello bancario o obbligazionario, tale tasso è garantito da una diversificazione degli investimenti ad opera di specialisti del mercato mobiliare. La sempre più accentuata concorrenza tra questi fondi comuni (basata su chi garantisce un tasso di rendimento più alto) ha generato un mercato oligopolistico super competitivo. Se prima aveva un vantaggio competitivo il fondo che investiva in maniera più lungimirante su società le cui azioni sarebbero cresciute più delle altre, garantendo ai propri clienti un rendimento maggiore, progressivamente si è giunti all'idea che gli stessi fondi avrebbero potuto "forzare artificialmente" la crescita azionaria delle proprie partecipazioni mediante il seguente metodo:
- I grandi fondi di investimento detengono rilevanti partecipazioni azionarie nelle imprese statunitensi. Queste partecipazioni oltre a diritti monetari (dividendi) conferiscono diritti amministrativi, nel senso che se si detiene il 15% del capitale di una grande multinazionale, durante un'assemblea dei soci puoi imporre un amministratore piuttosto che un altro. I fondi incaricano dei propri manager ad andare a ricoprire tali funzioni di amministazione con l'unico scopo di far schizzare alle stelle la quotazione azionaria della società nel minore tempo possibile. La maggior parte delle volte questa serie di operazioni sono deleterie per la sussistenza delle imprese perchè sono improntate su guadagni di brevissimo periodo che minano le basi di uno sviluppo sostenuto negli anni a venire. Queste strategie si basano generalmente su: esuberi del personale, disinvestimento nella direzione Ricerca e Sviluppo, cessione di rami d'azienda in surplus (quindi richiesti dal mercato), insomma attività che conferiscono un'importnte renumerazione immediata ma lasciano non pochi problemi per il futuro gestionale dell'azienda. Per stimolare il managment a compiere questo tipo di operazioni il criterio renumerativo prevalente è quello delle stock options, cioè il diritto di prelazione o il conferimento gratuito di azioni. Risultato finale: i manager incassano cifre esorbitanti per pochi mesi di lavoro (nell'ordine di decine di milioni di dollari), i fondi incassano altissime renumerazioni derivanti dalle loro partecipazioni azionarie e le aziende vengono lasciate alla deriva.
Grazie a questo sistema i fondi di investimento possono investire, smantellare, guadagnare e disinvestire così da garantire al proprio pacchetto clienti guadagni molto alti in periodi relativamente brevi ed accumulare vantaggio competitivo nei confronti degli altri fondi.
Il grosso effetto collaterale di questa logica è lo smembramento di realtà produttive sane in maniera talmente decisiva che nel'ultimo decennio l'aspettativa di vita media di un'impresa americana si è abbassata da 20 a 15 anni.
Il paradosso sta quindi nel fatto che le aziende sono manovrate da un managment che non ha interesse nel loro sostentamento e tutto questo mediante soldi di persone (i risparmiatori che conferiscono nei fondi di investimento) che non ne sono nemmeno al corrente.
Quanto può durare un capitalismo industriale le cui logiche sono dettate da un capitalismo finanziario la cui avidità è pareggiata unicamente dalla sua miopia?
Non è neanche più un problema di dove vuole andare il timoniere, la questione è: esiste un timone? E se non esistesse, sarebbe fattibile anche solo pensarne uno?
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