
Come è possibile convincere l'elettore mediano (figura dell'uomo medio utilizzata dall'Economia Pubblica per definire la tendenza generale) a credere che disinvestire nelle scuole pubbliche, negli ospedali pubblici o nell'assistenza a chi non ha lavoro sia razionalmente un bene ed un arrichimento per la propria condizione di vita, considerando che farà continuamente ricorso a questi tre isituti per tutto il corso della sua esistenza?
Per analizzare questo passaggio mi piace partire da una frase del sociologo economico polacco Zygmunt Bauman che spiega come il consumismo abbia inculcato nelle persone “un’utopia individuale a discapito di un’utopia sociale”.
Le ragioni materiali sono ancora in tutto e per tutto legate al cambiamento del sistema di produzione post-fordista (libera circolazione di capitali, minor potere contrattuale del lavoro, terzializzazione e finanziarizzazione dell'economia) e quindi portate avanti dai gangli del potere economico-finanziario, i metodi di legittimazione sociale e politica invece si basano sul richiamo ad un individualismo subdolo e miope. A questo riguardo le posizioni consolidate dei partiti politici sono da una parte volte ad evidenziare gli sprechi e le inefficienze della pubblica amministrazione e dall’altra prodigando i benefici individuali di un abbassamento delle imposte.
Questa regressione democratica sarebbe stata impensabile ai tempi della conquista del suffragio universale, la ragioni che adesso la rendono comunemente accettabile attecchiscono nella natura più profonda della società dei consumi che trae in inganno i cittadini celebrando un edonismo che è potenzialmente accessibile a chiunque per cui nessuno nel suo intimo si sente indigente e quindi alle dipendenze del potere redistributivo dello Stato. Il seme che si innesta con questo genere di propaganda si esplicita in ultima istanza, nel pensiero degli elettori di medio livello, con la certezza che si starà meglio se si bada da soli ai propri interessi.
Individualismo e retorica antistatale (da parte degli stessi partiti politici di destra e di "sinistra") portano i cittadini all’idea che il denaro immediatamente in tasca dopo il taglio delle imposte sia un’alternativa ben più valida della remota possibilità di usufruire di servizi sociali sempre più fatiscenti. In questo modo la parola “riforma” o “riformista” si veste di maggior efficienza e di minor sprechi ma a livello attuativo, chiudendo il cerchio, va nella direzione delle esigenze del gotha del potere industriale.
In Europa, dove il Welfare era maggiormente legittimato da una storia di inclusione sociale, è stato necessario fissare delle coordinate istituzionali macroeconomiche più rigide per concretizzare questa tendenza. Il momento fatidico è scoccato con la firma del Trattato di Maastricht nel 1992. Le grandi potenze europee hanno dovuto contenere la spesa pubblica in prospettiva di un’unica autorità monetaria centrale mediante parametri di bilancio (il deficit pubblico non può essere superiore al 3% del pil), di debito pubblico (60% del pil) e di contenimento dell’inflazione (obiettivo programmatico del 2%).
Cosa è cambiato nelle dinamiche welfaristiche comunitarie? Prendiamo come esempio i sussidi: in questo istituto di trasferimento ci si è ispirati a pratiche selettive (per esempio il governo socialista francese nella finanziaria del 1997 e socialdemocratico tedesco nella finanziaria del 1999) limitando il versamento di assegni familiari prima di allora concessi a tutti. Limitare e peggiorare i servizi sociali al settore della popolazione più emarginato dell’elettorato, agli occhi degli strati un po’ meno poveri alimenta un sentore di fatiscenza per la cosa pubblica e fa apparire anche le indennità più misere, offerte dalle assicurazioni private, un gran lusso al confronto.
Il messaggio implicito, come sostiene Bauman, è che “il ricorso all’assistenza è il segno dell’incapacità di vivere all’altezza di quegli standard raggiunti invece dalla maggior parte delle altre persone: una decisione umiliante che comporta l’autoesclusione e l’autoemarginazione”.
Ma questo vale anche e sopratutto per la sanità e per l'istruzione, gli istituti in assoluto più dispendiosi per il bilancio pubblico. In queste settimane in Italia, malgrado una mobilitazione generale di tutto il comparto della formazione di fronte a tagli indiscriminati, l'opinione pubblica fatica a vedere in questo eventualità di scuole più inadeguate e barriere all'entrata delle università (per l'innalzamento delle tasse e la possibilità di trasformazione in fondazioni private), vede piuttosto un maggior beneficio per la propria condizione di contribuenti e addirittura di cittadini. La logica e la matematica escono da questo passaggio estremamente claudicanti. E' un discorso di economia domestica, non di econometria comparata: è impossibile che il contribuente medio italiano guadagni da una riduzione fiscale di 100-120 euro (nella più rosea previsione) a fronte di un abbassamento del livello scolastico, ospedaliero, assistenziale e di accesso universitario. Chi ci guadagna, a livello distributivo e redistributivo, sono le dinamiche di mercato privato controllate da contribuenti ben al di sopra del suddetto elettore mediano.
Visto il problema da un’altra angolatura, ispirandosi alla dicotomia etica del lavoro (fordismo) ed estetica del consumo (post-fordismo), si potrebbe arrivare a dire che la caduta ideologica dello Stato Sociale è il trionfo dell’apologia della scelta.
Mentre il Welfare promuove l’idea di uguaglianza il marketing promuove l’idea di differenza e differenziazione.
Il consumismo dà la massima importanza alla scelta individuale (modalità puramente formale) come valore in sé. Il mito del consumatore per esistere deve specchiarsi nel mito della libera scelta. Maggiori sono le condizioni economiche più è ampia la gamma delle preferenze, “il consumatore ideale preferirà sempre i rischi e gli imprevisti di questa libertà alla relativa sicurezza di quel che passa in convento” (Bauman).
1 commento:
Molto bello questo post. Molto bella la lettura baumaniana che dai, è il messaggio in generale che condivido: l'individualismo e il consumismo generano una miopia istituzionale nel cittadino medio che lo porta a valutazioni solo in apparenza razionali, ma che in realtà sono qualcosa che dovremmo veramente temere; sono LA piaga della nostra società. Fab
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