martedì 2 dicembre 2008

From Detroit to Fed


L'amministratore delegato della General Motors Rick Wagoner ha deciso di andare da Detroit a Washington in auto (a basso consumo!) anzichè sul jet privato. Ci andrà per presentare al Congresso americano un piano di salvataggio da 9 miliardi di dollari per la sua azienda.
Da diverse indiscrezioni, compreso il parere illustre di Martin Baily, il consulente economico dell'amministrazione Clinton, il piano di rilancio dell'economia americana nel 2009 metterà in moto 1.200 miliardi di dollari.
Nel suo discorso di sabato 22 Novembre Barack Obama annuncia: "Di fronte a questa crisi di proporzioni storiche proporrò la creazione di 2,5 milioni di posti di lavoro. I mercati finanziari fanno i conti con nuove bufere, acquisti di case ai minimi in mezzo secolo, 540 mila richieste di sussidi di disoccupazione, il massimo da 18 anni. Inoltre il rischio di cadere in spirali di deflazione che aumentino l'enorme debito".
Uno dei più grandi artefici di questo nuovo New Deal sarà Timothy Geithner, l'attuale presidente della Federal Reserve di New York nominato Segretario al Tesoro (Ministro dell'Economia) venturo.
Il "grande vecchio" sarà invece Paul Volcker, classe 1927, ex Presidente della Fed nel periodo Reaganiano (1979-1987) e uno dei principali attuatori della svolta neoliberista che segnò il mondo negli anni '80. Il suo compito sarà quello di presiedere l'Advisory Board, un gruppo di super consulenti economici esterni all'esecutivo, così da proporre "idee nuove".

Il filo che lega queste nomine chiave parte dunque dalle gerarchie della Banca Centrale americana, la Federal Reserve, che in questi giorni oltre a operare nelle sue consuete vesti di regolatore del marcato finanziario e monopolista mondiale nella stampa di dollari, sta imboccando una strada precisa per fronteggiare la crisi.
La Morgan Stanley è una delle principali banche d'affari di New York. Di più, è un'istituzione mondiale per i mercati finanziari, una specie di cattedrale dell'impero. Pochi mesi fa le sue azioni valevano 229 dollari, oggi (2 dicembre) valgono 61 dollari. Come ogni banca ha subito l'onda della crisi perdendo infatti il 73,4% della sua capitalizzazione in borsa.
La Mitsubishi Ufj è la direzione finanziaria del Gruppo Mitsubishi, la più grande impresa giapponese ed una delle più grandi imprese multinazionali del mondo.
Questo ottobre la Mitsubishi ha investito 9 miliardi di dollari per salvare la Morgan Stanley con il bene placido della Federal Reserve. Ha comprato una cifra del 21% della quota azionaria con una cifra pari al 100% del valore sgangherato che ha la banca nelle quotazioni di Wall Street. Perchè mai avrebbe dovuto sovrastimare in maniera così evidente le azioni?
Per una semplice ragione: la Morgan Stanley è azionista della Fed, la Fed come autorità garante del mercato finanziario ha improvvisamente dato un clamoroso colpo di spugna sulle inchieste per gravi violazioni delle legge bancarie contro Mitsubishi Ufj. Si parlava di "sanzioni per perpetuate pratiche illegali, violazioni normative e transazioni inappropriate, con contestuale obbligo di sospensione delle attività bancarie". Ora non si parla più.

Il cambiamento di Obama è alle porte, l'acuirsi del poderoso conflitto di potere di banche ed intermediari finanziari pure. Il sistema che ha portato alla crisi continua a fagocitare potere. Le regole che gli stessi operatori si sono dati continuano ad essere disattese.

Il signor Rick Wagoner ha rinunciato al suo jet privato per muoversi da Detroit a Washington con un'auto ecologica per chiedere 9 miliardi al Congresso.
Il cambiamento è arrivato a destinazione, come ritornerà a Detroit?

sabato 22 novembre 2008

La crisi dello Stato Sociale IV. La propaganda

Si è innescata dunque, da una ventina d'anni, la volontà del potere economico di contenere la presenza di dispositivi di controllo generali egualitari e dispendiosi nei confronti dell'erario, ma come è possibile convincere di tale necessità anche i cittadini che da quello stesso Welfare traggono benefici?
Come è possibile convincere l'elettore mediano (figura dell'uomo medio utilizzata dall'Economia Pubblica per definire la tendenza generale) a credere che disinvestire nelle scuole pubbliche, negli ospedali pubblici o nell'assistenza a chi non ha lavoro sia razionalmente un bene ed un arrichimento per la propria condizione di vita, considerando che farà continuamente ricorso a questi tre isituti per tutto il corso della sua esistenza?

Per analizzare questo passaggio mi piace partire da una frase del sociologo economico polacco Zygmunt Bauman che spiega come il consumismo abbia inculcato nelle persone “un’utopia individuale a discapito di un’utopia sociale”.
Le ragioni materiali sono ancora in tutto e per tutto legate al cambiamento del sistema di produzione post-fordista (libera circolazione di capitali, minor potere contrattuale del lavoro, terzializzazione e finanziarizzazione dell'economia) e quindi portate avanti dai gangli del potere economico-finanziario, i metodi di legittimazione sociale e politica invece si basano sul richiamo ad un individualismo subdolo e miope. A questo riguardo le posizioni consolidate dei partiti politici sono da una parte volte ad evidenziare gli sprechi e le inefficienze della pubblica amministrazione e dall’altra prodigando i benefici individuali di un abbassamento delle imposte.
Questa regressione democratica sarebbe stata impensabile ai tempi della conquista del suffragio universale, la ragioni che adesso la rendono comunemente accettabile attecchiscono nella natura più profonda della società dei consumi che trae in inganno i cittadini celebrando un edonismo che è potenzialmente accessibile a chiunque per cui nessuno nel suo intimo si sente indigente e quindi alle dipendenze del potere redistributivo dello Stato. Il seme che si innesta con questo genere di propaganda si esplicita in ultima istanza, nel pensiero degli elettori di medio livello, con la certezza che si starà meglio se si bada da soli ai propri interessi.
Individualismo e retorica antistatale (da parte degli stessi partiti politici di destra e di "sinistra") portano i cittadini all’idea che il denaro immediatamente in tasca dopo il taglio delle imposte sia un’alternativa ben più valida della remota possibilità di usufruire di servizi sociali sempre più fatiscenti. In questo modo la parola “riforma” o “riformista” si veste di maggior efficienza e di minor sprechi ma a livello attuativo, chiudendo il cerchio, va nella direzione delle esigenze del gotha del potere industriale.

In Europa, dove il Welfare era maggiormente legittimato da una storia di inclusione sociale, è stato necessario fissare delle coordinate istituzionali macroeconomiche più rigide per concretizzare questa tendenza. Il momento fatidico è scoccato con la firma del Trattato di Maastricht nel 1992. Le grandi potenze europee hanno dovuto contenere la spesa pubblica in prospettiva di un’unica autorità monetaria centrale mediante parametri di bilancio (il deficit pubblico non può essere superiore al 3% del pil), di debito pubblico (60% del pil) e di contenimento dell’inflazione (obiettivo programmatico del 2%).
Cosa è cambiato nelle dinamiche welfaristiche comunitarie? Prendiamo come esempio i sussidi: in questo istituto di trasferimento ci si è ispirati a pratiche selettive (per esempio il governo socialista francese nella finanziaria del 1997 e socialdemocratico tedesco nella finanziaria del 1999) limitando il versamento di assegni familiari prima di allora concessi a tutti. Limitare e peggiorare i servizi sociali al settore della popolazione più emarginato dell’elettorato, agli occhi degli strati un po’ meno poveri alimenta un sentore di fatiscenza per la cosa pubblica e fa apparire anche le indennità più misere, offerte dalle assicurazioni private, un gran lusso al confronto.
Il messaggio implicito, come sostiene Bauman, è che “il ricorso all’assistenza è il segno dell’incapacità di vivere all’altezza di quegli standard raggiunti invece dalla maggior parte delle altre persone: una decisione umiliante che comporta l’autoesclusione e l’autoemarginazione”.
Ma questo vale anche e sopratutto per la sanità e per l'istruzione, gli istituti in assoluto più dispendiosi per il bilancio pubblico. In queste settimane in Italia, malgrado una mobilitazione generale di tutto il comparto della formazione di fronte a tagli indiscriminati, l'opinione pubblica fatica a vedere in questo eventualità di scuole più inadeguate e barriere all'entrata delle università (per l'innalzamento delle tasse e la possibilità di trasformazione in fondazioni private), vede piuttosto un maggior beneficio per la propria condizione di contribuenti e addirittura di cittadini. La logica e la matematica escono da questo passaggio estremamente claudicanti. E' un discorso di economia domestica, non di econometria comparata: è
impossibile che il contribuente medio italiano guadagni da una riduzione fiscale di 100-120 euro (nella più rosea previsione) a fronte di un abbassamento del livello scolastico, ospedaliero, assistenziale e di accesso universitario. Chi ci guadagna, a livello distributivo e redistributivo, sono le dinamiche di mercato privato controllate da contribuenti ben al di sopra del suddetto elettore mediano.

Visto il problema da un’altra angolatura, ispirandosi alla dicotomia etica del lavoro (fordismo) ed estetica del consumo (post-fordismo), si potrebbe arrivare a dire che la caduta ideologica dello Stato Sociale è il trionfo dell’apologia della scelta.
Mentre il Welfare promuove l’idea di uguaglianza il marketing promuove l’idea di differenza e differenziazione.
Il consumismo dà la massima importanza alla scelta individuale (modalità puramente formale) come valore in sé. Il mito del consumatore per esistere deve specchiarsi nel mito della libera scelta. Maggiori sono le condizioni economiche più è ampia la gamma delle preferenze, “il consumatore ideale preferirà sempre i rischi e gli imprevisti di questa libertà alla relativa sicurezza di quel che passa in convento” (Bauman).

venerdì 21 novembre 2008

La crisi dello Stato Sociale III. Lo smantellamento


A metà del ‘900 si dibatteva se il Welfare State fosse un'entità beffarda (perchè comunque manteneva un sistema capitalistico basato sullo sfruttamento dei lavoratori ma levigava gli attriti con l'offerta di servizi essenziali gratuiti) o una conquista tironfale per la classe operaia. Una cosa era sicura però: la sua natura irreversibile; "a meno che non si voglia eliminare i sindacati, destrutturare i partiti ed abrogare la democrazia" (Claus Offe).
Il Presidente americano repubblicano Richard Nixon nel 1971 dichiarò che “oggi come oggi nessuno non si direbbe keynesiano”.
Nessuno avrebbe pensato che dai primi anni '80 il suo smantellamento sarebbe stata una realtà.
Nessuno nel 2008, per quanto schierato a sinistra, potrebbe sottoscrivere le parole di Nixon.

Un passaggio chiave per analizzare le dinamiche regressive del modello di Stato Sociale sta nelle diverse sollecitazioni che stava subendo l’economia mondiale nella metà degli anni ’70: balzo tecnologico, alto potere contrattuale del lavoro e spinte inflazionistiche.
Sorgevano vari problemi inerenti alla sostenibilità del sistema:
  • Il poderoso avanzamento tecnologico in campo medico aveva di fatto allungato le aspettative di vita fino a dei livelli inattesi dai legislatori dei decenni precedenti.
  • Le folate inflazionistiche premevano sulla sostenibilità del debito pubblico in quanto si sollevava il problema per lo Stato di emettere titoli del debito capaci di prevalere sull’aumento del livello dei prezzi.
  • Sul finire del decennio i programmi liberisti (che condannano le eccessive ingerenze dello Stato nell’economia e “sollevano” i cittadini da molto del loro peso fiscale) sembravano per le istituzioni i più adatti a fronteggiare la crisi del modello industriale-fordista e la terziarizzazione del sistema.
  • Una spiegazione più ottimistica verteva sul fatto che ad un aumento delle risorse sistemiche e dei redditi individuali, corrispondeva anche un numero limitato di eventi negativi, ai quali la spesa sociale doveva far fronte (tradotto: se le persone pagano meno tasse sono meno esposti al rischio di povertà).

Il Welfare State a fronte di tutte queste variabili che si stavano accavallando, dovette essere ripensato e alleggerito. Questa idea ha trovato col passare degli anni spunti attuativi basati su di un contenimento dei costi della spesa pubblica, derivato da un abbassamento dell’imposizione fiscale, sulla riduzione dei tempi di permanenza nelle condizioni di bisogno, sulla restrizione delle aree di copertura di rischi.
Ma non si tratta solo di una trasformazione tecnica: la soppressione di vari istituti di assicurazione sociale è stata accompagnata da una generica disaffezione per la cosa pubblica tale da evitare particolari attriti nei diversi scenari della comunità.

Per chiarire il concetto mi preme ricordare che le macrodinamiche economiche hanno sempre una base materiale. In altre parole: è facile spiegare il declino del Welfare State ponendo il focus sul cambiamento ideologico e sul successo della dottrina monetarista nei gangli decisionali delle istituzioni, nella realtà però le ragioni che stanno alle fondamenta di questi passaggi sono solo il frutto della nuova divisione del lavoro derivata dal processo di automazione della produzione industriale.

L’affermarsi del paradigma della flessibilità in seguito alla rivoluzione tecnologica ha spezzato l’intesa interclassista ed intergenerazionale che era stata il grande volano dello sviluppo dello Stato Sociale. In tutto il “periodo fordista” europeo ed americano il welfare creò un valido esercito industriale di riserva, garantendo anche alle classi più disagiate una continuità di formazione pronta ad essere fruita dalle imprese nelle quasi perpetue fasi espansive della domanda; grazie a questo “servizio pubblico” le stesse imprese pagavano volentieri l’erario. Negli ultimi due decenni, a causa della maggiore concorrenza fra privati e i bassi livelli di crescita aggregata (PIL), la manodopera eccedente rischia di non essere più impiegabile non tanto perché poco qualificata, ma per l’assenza di domanda.
Ormai i profitti delle imprese derivano da investimenti strutturali che non comprendono l’assunzione di un maggior numero di dipendenti, anzi gli esuberi sono sinonimo di vivacità imprenditoriale e vengono regolarmente remunerati dalla Borsa. Contemporaneamente la libera circolazione dei capitali permette lo sfruttamento di lavoratori in paesi asiatici, latinoamericani ed africani dove lavoro significa sopravvivenza, dove non è necessario stimolare il consumo o inventarsi nuovi stimoli per la manodopera.

Il risultato di tutto questo è che adesso l’esercito industriale di riserva ha dinamiche mondiali mentre l’assistenza sociale conserva ancora le sue peculiarità nazionalistiche: nella percezione dei grandi gruppi industriali finisce la visione costruttiva del Welfare State.

giovedì 20 novembre 2008

La crisi dello Stato Sociale II. La Storia


Lo Stato Sociale è un insieme di norme mediante cui lo Stato cerca di lenire problemi di diseguaglianza e di rischi sociali all'interno della comunità. Rientrano perciò in questo ambito tutti gli interventi costitutivi, normativi ed esecutivi volti a permettere un'istruzione ed una sanità pubblica e gratuita, un sussidio per chi non recepisce un reddito, una pensione sociale per chi non è più in grado di lavorare e quindi mantenere "Un'esistenza libera e dignitosa" (Costituzione della Repubblica Italiana)
Storicamente si nutre di un crescendo di rivendicazioni alimentate dalla progressiva affermazione della rivoluzione industriale e di un sistema economico basato sull'egemonia del mercato.
Si possono individuare 4 momenti storici particolarmente emblematici per disegnarne le sorti:
  • Modello Bismarckiano. Nella Germania del XIX secolo vengono approvate una serie di norme a tutela degli operai salariati in materia di infortuni sul lavoro e piani previdenziali (pensioni). Questi provvedimenti sono stati il frutto di lotte sindacali a volte drammatiche in cui migliaia di persone hanno messo a repentaglio il proprio lavoro, la propria libertà civile e la propria vita.
  • Modello post-crisi del 1929. L'amministrazione Roosvelt in America comincia una prima tutela dei rischi derivati dalla ciclicità strutturale dell'Economia di mercato (il fenomeno empirico che vede un alternarsi di fasi espansive e fasi recessive del sistema economico). Vengono intraprese politiche pubbliche volte a stimolare l'occupazione e a garantire dignità retributiva anche agli outsider tramite sussidi. Una lunga serie di lavori pubblici, spesso puramente pretestuosi, assorbirono 2-3 milioni di disoccupati. Ad innescare questo deciso cambio di rotta fu la concomitanza di due fattori: il primo, quello materiale, derivante dall'incubo della recessione americana dei primi anni '30; il secondo, accademico-pragmatico, dalla penetrazione nella cultura liberale statunitense dell'opera dell'economista inglese John Maynard Keynes "Teoria generale dell'Occupazione, dell'Interesse e della Moneta".
  • Il piano Beveridge. E' il passaggio fondamentale, la piena espressione del concetto di Stato sociale in un'economia fordista. Verso la fine del secondo conflitto mondiale un deputato liberale inglese, William Beveridge, presenta in Parlamento il rapporto Social Insurance and Allied Services in cui propone allo Stato un nuovo ruolo di giudice della piena occupazione, il ruolo cioè di fautore di pressanti e continue (non quindi legate alle crisi) politiche economiche che siano di impulso al raggiungimento del pieno impiego. Avviene quindi uno stacco programmatico con la logica liberista che vede nel mercato l'unica fonte di demarcazione tra occupati e disoccupati. Inoltre viene proposta assistenza sanitaria e previdenza gratuita per tutti. Gli ordinamenti giuridici occidentali (la Costituzione del 1948 nel caso dell'Italia) recepiscono la necessità di questo cambio epocale degli assetti di mercato.
  • Lo smantellamento. Dall'inizio degli anni '80 comincia un processo di riflessione prima ideologica (Tatcher eletta nel 1979 in UK, Reagan nel 1980 in USA) e poi attuativa sulla necessità di contenere il peso del pubblico nell'economia. Trasformazioni del sistema di produzione (informatizzazione, in seguito verrà spiegato il nesso) e necessità di contenimento del debito pubblico slancia una stagione di privatizzazione e liberalizzazione di mercati (energia, trasporti, telefonia) fino ad allora monopolizzati dalle grandi aziende di Stato spesso motore in primis delle politiche di pieno impiego.
Se a livello storico il progresso del Welfare State ha subito processi di ampliamento (e detoriamento) comuni, a livello locale ha trovato spunti ed impedimenti diversi essendosi intrecciato con diverse mentalità pregresse e nature demografiche. Con un audace paragone si potrebbero chiamare in causa i processi di evangelizzazione compiuti in diversi luoghi del mondo, la cristianità che ne è derivata (malgrado fossero comuni le tappe canoniche che hanno formato il dogma) si è dovuta specchiare con la spiritualità autoctona.
Esiste quindi un modello scandinavo, nel quale vige un universalismo dei diritti (lo status di cittadino garantisce piena assistenza da parte dello Stato a prescindere dal percorso lavorativo) e lo Stato è una presenza totalizzante in varie fasi della vita, questo ovviamente presuppone un alto carico fiscale.
Esiste un modello liberale, sviluppatosi nei paesi anglosassoni, dove lo Stato garantisce un’equità procedurale ed una copertura dei rischi sociali estremi e per il resto lascia alla potenza regolatrice del mercato.
Infine c’è un modello corporativo, dove è invece lo status di lavoratore e quindi la capacità di gettito fiscale a condizionare i programmi di spesa. Da questo sistema di Welfare State, il più diffuso in Europa continentale e meridionale, si delineano due sottocategorie secondo un criterio più aziendale (Giappone) o più familistico (Mediterraneo).

martedì 4 novembre 2008

La crisi dello Stato Sociale I. La Finanziaria 2009



Il ministro Mariastella Gelmini, in un'intervista al Corriere della Sera di una settimana fa, dichiara che la sua politica si ispira a quella di Barack Obama. Evidentemente aveva trovato in questo paragone una frase ad effetto buona per autodefinirsi giovane, dinamica e proiettata al futuro.
Un vero peccato andare avanti solo a slogan. Se fosse stata più attenta alle sue parole (o a quelle di Obama) la Gelmini avrebbe appurato che nel discorso di accettazione della nomina a candidato presidenziale, quindi nel discorso maggiormente programmatico, il Senatore democratico ha detto: "La necessità di permettere un'istruzione di alto livello a tutti consiste in maggiori finanziamenti pubblici alla scuola,
assumere nuovi insegnanti e pagarli meglio".

Sbaglia chi vede in lei un nemico, sbaglia chi vede in lei un interlocutore valido (malgrado gli slogan con chi ha un cognome in -ini riescano piuttosto bene), la Gelmini è solo un mero esecutore di un disegno generale.
Questo disegno rispecchia un atteggiamento diffuso dell'attuale governo ed un trend storico mondiale. In questo post analizzerò il primo.

Il decreto legge 112, attuato in materia di istruzione e ricerca dalla legge 133, è il cosiddetto Dpef (documento di programmazione economica e finanziaria) che verrà attuato con la legge finanziaria da approvare tassativamente entro il 31 dicembre 2008.
Tratta della variazione delle dotazioni finanziarie nei diversi ambiti dell'apparato statale e specifica le differenze tra l'anno corrente (2008) e l'anno venturo (2009).
Il documento è pubblico e si possono riscontrare diverse contraddizioni tra quella che è la politica fatta di parole e quella che è la politica fatta di cifre.
  • Istruzione, la ferita sociale che si sta aprendo in questi giorni nelle scuole, nelle università nei centri ricerca e nelle strade d'Italia: -293 milioni per la scuola dell'obbligo, -178 milioni per l'Università, -315 milioni (-8,2% sul totale) per ricerca ed innovazione pubblica.
  • Le parole: Piena soddisfazione è stata espressa dal ministro Maroni per l’approvazione definitiva - il 23 luglio scorso da parte del Senato - della legge sulla sicurezza che consentirà, ha dichiarato “un contrasto più efficace dell’immigrazione clandestina, una maggiore prevenzione della microcriminalità diffusa attraverso il coinvolgimento dei sindaci nel controllo del territorio e una più incisiva lotta alla mafia". Adesso le cifre: Ordine pubblico e sicurezza -451 milioni, Difesa e sicurezza del territorio -645 milioni.
  • Rialzati Italia!, diritto alla mobilità: -2,049 miliardi (-17,0% sul totale).
  • Calderoli: "un federalismo in cui avranno tutti da guadagnarci". Sviluppo e riequilibrio del territorio: -2,344 miliardi (-27,5% sul totale).
  • A parole sembra che sia solo un problema di tornelli per i magistrati, in cifre i comparto della giustizia avrà una contrazione di spesa pubblica pari a 376 milioni.
  • Il 26 Maggio Berlusconi incontra il Papa: "particolare attenzione è stata dedicata agli aiuti alle famiglie". Temo invece che i due si siano intrattenuti un po' troppo nel discutere della delegittimazione della legge sull'aborto e della avversione endemica nei confronti dei gay monogami perchè dal Dpef risulta un taglio alle politiche per la famiglia di 543 milioni.
  • Competitività e sviluppo delle imprese, sembra il chiodo fisso, poi si decreta: -610 milioni (-11,8% sul totale)
Queste sono solo alcune voci, l'elenco completo può essere consultato sulle tavole fornite dal Sole 24ore sul sito: http://www.clandestinoweb.com/images/stories/Elena/TAVOLE/tagli_finanziaria_2009_27_10_08.jpg

Nel prossimo post spero di affrontare un argomento più difficile ma molto più interessante: il trend storico che porta i governi ad innescare, perpetrare e realizzare un disegno provvidenziale in materia di politiche pubbliche di questa natura.

sabato 1 novembre 2008

Cuius regio, eius religio


Il Ministro dell'economia Giulio Tremonti, di ritorno dal summit di Parigi del 12 Ottobre scorso, recepisce il piano finanziario anti-crisi varato dall'Ecofin (consiglio dei ministri dell'economia e finanza) e vara il 13 Ottobre un decreto legge, presentato durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, basato sui seguenti principi:
  • Viene prevista una garanzia statale sulle nuove passività delle banche italiane con durata fino a 5 anni emesse entro il 31 dicembre 2009.
  • L'ammontare delle misure varate non sarà deciso ex-ante, il Ministero valuterà caso per caso riservandosi la possibilità di erogare fondi o sospendere il giudizio a seconda delle dinamiche del mercato del credito. Verrà dato "quanto necessario".
  • Non ci sarà un coordinamento vincolante delle istituzione europee ("cuius regio, eius religio", cioè: a chi detiene la regione, sia sua anche la religione)
Alla conferenza stampa era presente anche il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli che interpellato sulle ripercussioni che questo provvedimento avrà sulla spesa pubblica risponde: "Sono operazioni finanziarie che non incidono sul deficit pubblico, sul debito non so, sul debito lordo incideranno a seconda di come queste misure verranno utilizzate".

Aleggia quindi un certo livello di approssimazione. Ma di quanti soldi si sta parlando?
Nel senso: espressioni del tipo "quanto necessario", "valuteremo caso per caso" o "dipende come i soldi veranno spesi" possono apparire come ordinarie operazioni di assestamento se si parla di somme esigue, al contrario se le grandezze monetarie sono di un certo peso potrebbe apparire come un provvedimento non in armonia con la stretta alla spesa pubblica in atto. Se le cifre sono molto alte è bene che i cittadini pretendino chiarezza.

Sempre il 13 Ottobre Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia, fa sapere che: "
le banche che vorranno rifinanziarsi potranno scambiare i loro titoli con valutazione più bassa con quelli di qualità più elevata della Banca d'Italia e poi portarli alla Banca centrale europea"
Un comunicato della Banca d'Italia precisa: "le garanzie offerte dalla Banca d'Italia arriveranno fino a 40 miliardi di euro. Le operazioni verranno effettuate due volte a settimana, la prima operazione di scambio di titoli potrà essere effettuata dal prossimo giovedì 16 ottobre. "
Tradotto: le banche che per errori di valutazione della propria amministrazione hanno comprato titoli ad alto rendimento ma ad alto rischio di insolvenza, operazioni che hanno fruttato agli stessi manager bonus per milioni di euro, possono "scambiare" questi titoli fino a 40 miliardi con titoli sani offerti della Banca d'Italia.
In altre parole, la colletività immette liquidità fino a 40 miliardi non per salvare le banche partecipando alle perdite (e successivamente agli utili), ma più semplicemente per comprare titoli di credito tossici frutto degli errori di amministratori ultraretribuiti, senza necessariamente avere qualcosa in cambio.

Ovviamente in questi stessi giorni le banche italiane per fare cassa sono intenzionate ad aumentare le spese accessorie e gli interessi, quindi la rata, dei mutui in corso.
Un sondaggio Confesercienti-Swg (Swg è una società di ricerche di mercato) rileva come, ogni mese, in media escano dai bilanci familiari 478 euro. Per il 23% della popolazione la spesa per il mutuo si colloca tra i 500 e i 1.000 euro, per il 10% tra i 1.000 e i 2.000 euro.
Il 61% di intervistati ha dichiarato di non aver ricevuto nessuna proposta dal proprio istituto di credito di rinegoziazione del debito, ma allo stesso tempo il 59% degli intervistati ha paura che un'eventuale rinegoziazione del mutuo contratto potrebbe peggiorare ulteriormente le proprie già precarie condizioni.
Dal sondaggio emerge, poi, che il tasso medio praticato dalla banche si aggira intorno al 7 %. Ma per un italiano su 4, oscilla tra l'8% e il 20%. Praticamente usura (19%).
In conclusione dalla stessa indagine emerge che solo ed unicamente per rimborsare il debito contratto con una banca gli italiani rinunciano a:
  • Vacanza per il 21%
  • Cene al ristorante e in pizzeria per il 20%
  • Comprarsi un capo di abbigliamento per il 17%
E se, invece, avanza qualche euro: di corsa a metterlo in un conto corrente (22%), in un fondo garantito (17%) o in Bot e titoli di stato (15 %).

Un'ultima osservazione. Nel giro di un mese la collettività pagherà 40 miliardi per sopperire agli errori delle banche attraverso criteri approssimativi e canali poco trasparenti. Il disinvestimento per scuola pubblica, università e ricerca,
nei prossimi 4 anni contro cui milioni tra studenti, lavoratori, ricercatori e genitori stanno manifestando in questi giorni ammonta invece a "solo" 8,7 miliardi: il 21,75%.

E' tutta una questione di priorità.

martedì 28 ottobre 2008

La legge 133 ed il decreto legge 137


Gelmini: "Nessuna riforma, solo dei tagli"
Decleva (rettore Statale di Milano): "Questi tagli non posso essere chiamati riforma"
Berlusconi: "Nessun taglio"
Bonaiuti: "La sinistra dice bugie, il tempo pieno aumenterà"
Roberto Cota:"Nessun licenziamento"
Veltroni: "Problema per le famiglie con meno tempo pieno"
Berlusconi: "Darò istruzioni al Ministro dell'Interno per impedire attraverso le forze dell'ordine che ciò (interruzione di servizio) accada"
Cobas: "87 mila posti di lavoro in meno"
Berlusconi:"Mai detto nè pensato di mandare la polizia nelle università"
Gelmini: "Nessun ridimensionamento, casomai qualche problema tra tre anni"
Berlusconi: "La sinistra parla di disinvestimento, è vero esattamente il contrario"
Berlusconi: "Nessuna scuola sarà chiusa"

A questa confusione è bene rispondere solo ed unicamente con cifre.

L'Italia nel 2008 destinerà il 4,5% del PIL al Ministero dell'Istruzione. La media dell'Unione Europea a 27 è 5,1%, dell'Unione Europea a 15 è 4,9%. Peggio di noi soltanto la Romania e la Grecia.
Il ritardo dell'Italia si aggrava per quanto riguarda la spesa universitaria e post-universitaria: o,8% contro l'1,1% della spesa dell'Unione Europea a 27. Questi dati sono confermati dalla percentuale di laureati nella fascia d'età tra i 25 e i 64 anni: 13% in Italia e 23% nella UE a 27, solo Malta e la Romania sono al di sotto di noi. Infine la percentuale di abbandoni: 21% in Italia e 15% nell'Europa allargata.

Sono stati approvati in Agosto
due decreti legge di competenza del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca.
Il decreto legge 112 convertito dal disegno di legge 133, che si occupa di Università nell'articolo 15 (libri scolastici), 16 (possibilità d trasformazione dell'Università in Fondazioni di diritto privato) e 17 (progetti di ricerca di eccellenza). La legge è stata approvata da etrambe le camere in agosto.
Decreto legge numero 137, che si occupa di scuola primaria e secondaria mediante l'introduzione del maestro unico, voto in condotta e libri di testo non modificabili. Il decreto verrà convertito in legge al Senato nella mattinata di domani.

Cosa cambia con queste due, distinte, leggi:
  • La diminuzione del personale della scuola dell'obbligo con un contratto a tempo determinato sarà di 87.341 in tre anni. 42.105 nel 2009/10; 25.560 nel 2010/11 e 19.676 nel 2011/2012. Per il personale Ata (amministrativo, tecnico, ausiliario) è prevista una riduzione secca del 17%, ossia 42.500 posti in meno.
  • Dal fronte dei docenti dovranno essere risparmiati 338.495.736 euro nel 2009, 1.179.540.433 nel 2010, 1.715.092.622 nel 2011 e 2.129.984.098 nel 2012.
  • Il decreto stabilisce la reintroduzione, a partire da settembre 2009, del maestro unico nelle classi prime, al posto dell'insegnamento modulare (3 docenti per 2 classi). L'insegnante avrà un orario settimanale di 24 ore e dovrebbe essere affiancato dai docenti di inglese e di religione, oltre che da quello di sostegno (se previsto). Il piano programmatico prevede come orario sostanziale quello di 24 ore settimanali (intorno alle 5 ore al giorno: niente tempo pieno), resta la possibilità delle 27 e delle 30 ore, con aggiunta di altre 10 per il tempo mensa, ma queste decisioni verrano prese in sede locale con l'ausilio di cooperative.
  • Verranno chiuse 1.500 scuole con meno di 300 alunni.
  • La trasformazione delle Università in fondazioni private deve essere deliberato a maggioranza assoluta dal Senato accademico e successivamente approvato dai ministeri dell'Istruzione e dell'Economia. Le fondazioni così costituite subentrano nel patrimonio dell'università e sono chiamate a una gestione finanziaria che assicuri l'equilibrio di bilancio. Le donazioni a favore delle fondazioni saranno esentasse e deducibili.
  • Il Fondo di finanaziamento ordinario del Ministero in generale sarà ridotto di 63,5 milioni per il 2009, di 190 milioni di euro per il 2010, di 316 milioni per il 2011, di 417 milioni per il 2012 e di 455 milioni a partire dal 2013. La legge impone agli atenei di decretare il rapporto professori in pensione-professori assunti come 5-1.

Piccola considerazione personale.
La possibilità di trasformazione dell'Università in una Fondazione privata è la conseguenza dell'impossibilità da parte di un istituto di diritto pubblico, quale l'Università, di aumentare le tasse oltre ad una certa percentuale. La Fondazione sarebbe di diritto privato ed il consiglio di amministrazione potrebbe aumentare le tasse d'iscrizione ben al di sopra di questi limiti garantendosi la sussistenza ma violando il principio costituzionale del diritto allo studio.

Sempre in riferimento alla Costituzione il comma 3 dell'articolo 33 recita: "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato". Ma la legge 133 indica come la trasformazione in Fondazioni private delle Università pubbliche abbia come oggetto non solo l'assetto del bilancio ma l'intero patrimonio immobiliare. Questo significa che tutti gli edifici universitari o adibiti all'Università (moltissimi di questi di eccezionale valore artistico ed inestimabile valore) andrebbero a privati senza alcun rimborso per lo Stato.
Questo, a mio giudizio,
è un onere per lo Stato, ma l'eccezione di incostituzionalità neanche si mormora.

martedì 21 ottobre 2008

La squola di cicago


Nel panorama accademico-giornalistico-politico italiano non si può dire che spicchi una pressante fazione liberista-monetarista comparabile a quelle degli altri paesi europei. Possiamo citare qualche nome: Pier Luigi Bersani (troppo solo?), Della Vedova e Martino (troppo vicini a Berlusconi?), Emma Bonino (troppo indipendente?) e Francesco Giavazzi (troppo accademico?). Cosa pensano questi sparuti difensori della mano invisibile del mercato a proposito della crisi finanziaria in atto?

Il primo, Bersani, ministro ombra dell'Economia ombra dell'opposizione ombra ritrova la luce con impeti preadolescenziali tuonando sulla necessità che al decreto legge salva-banche sia affiancato un emendamento sulla detassazione dei redditi più bassi; 7-8 miliardi per la precisione, nulla in confronto alle imminenti cascate di soldi pubblici che riempiranno le casse delle banche, niente anche per quanto riguarda un ripensamento delle logiche di accesso al credito delle banche italiane.

Della Vedova e Martino boccheggiano, si intristiscono e rimandano al loro datore di lavoro-padrone-Presidente del Consiglio qualsiasi decisione o pensiero svolazzante.

Emma Bonino invece non perde la flemma: "Non è una crisi del mercato, bensì una crisi nel mercato". Invece di ricredersi, almeno in parte, sulla sua profonda amarezza che in Italia non si possa far fluttuare il denaro come in America rilancia sulla tetra possibilità di nazionalismo economico, una soluzione "troppo facile". Troppo facile per lei non fare un minimo di autocritica, il trucco sta nel non dire assolutamente niente (cosa che riesce benissimo con i giornalisti economici italiani).

Dal pulpito della cattedra di Economia Politica in Bocconi è in piena forma Francesco Giavazzi. E' lui il paladino del liberismo italiano, l'editorialista del Corriere della Sera che porta la fiaccola del libero mercato, della meritocrazia e della guerra ai fannulloni; quello che intralcia il traffico, rimanendo fermo agli incroci data la totale assenza della capacità di distinguere la destra dalla sinistra.
Questa strana patologia gli fa pubblicare esattamente un anno fa "Il liberismo è di sinistra" (edizioni Il Saggiatore). A pagina 106 scrive: "Il motivo per cui le privatizzazioni sono condizione necessaria per il libero mercato è che uno Stato proprietario è un pessimo regolatore" - "L'articolo 25 dell'autorità Antitrust consente al governo di autorizzare per rilevanti interessi dell'economia nazionale operazioni di concentrazione altrimenti vietate. Insomma, il monopolista pubblico è più pericoloso di quello privato".
Coerentemente il 16 settembre di quest'anno scrive sull'autorevole portale di economia Lavoce.info: "Una vittoria del mercato. il segretario del Tesoro statunitense Henry Paulson ha detto basta. Il costo è stato elevato, il fallimento della terza/quarta banca d'investimento al mondo (Lehman Brothers), ma il mercato ha impiegato meno di cinque minuti a capire. E Bank of America ha comprato Merrill Lynch senza alcuna garanzia pubblica e ad un premio di 70 per cento sull'ultimo prezzo di mercato. Oggi la cintura di liquidità di cui ha bisogno AIG sarà anch'essa offerta dal mercato."
Peccato che poche ore dopo la Federal Reserve eroga 85 miliardi di dollari per salvare la suddetta AIG, immensa compagnia di assicurazioni americana.
Giavazzi è costretto a rettificare "Oggi il governo americano ha dovuto smentirsi. E' una cattiva notizia perchè la situazione è grave ma è anche una buona notizia perchè dimostra che l'economia del mondo è nelle mani di persone responsabili che non decidono guidate dall'ideologia."

Voglio brevemente trarre spunto dall'ultimo intervento di Giavazzi per concludere questo post.
Galbraith, celebre economista del'900, scriveva che i ricchi scoprono il socialismo solo quando ne hanno bisogno loro. Io più umilmente dico che Giavazzi scopre gli aiuti di Stato solo quando il suo cervello gli suggerisce che è una buona notizia e scopre l'ideologia solo quando la può affibiare a qualcuno che non sia lui.
Viene chiamato "responsabile" chi prima era ontologicamente in fallo (tralasciando il fatto che i responasbili nella Federal Reserve hanno una serie di colpe oggettive nella crisi economica), viene chiamata "ideologia" un modus agendi che si sbandiera solo in periodi di vacche grasse, adesso è
solo ideologia (la differenza la sanno solo loro).

Qui non si tratta di sbattere in faccia la realtà dei fatti a persone che con spocchia cavalcavano l'onda globalizzante ed equa del capitalismo finanziario, qui si tratta di sviscerare quelle contraddizioni che, sperando siano sotto gli occhi di tutti, permettano a chi quelle idee non le ha mai cavalcate di alzare il livello delle rivendicazioni reali.
Non è tollerabile che chi, sia come agente operativo che come accademico, ha fatto sprofondare nel baratro milioni di famiglie in America e in Europa oltre a non pagare di tasca propria si rimangi due-tre frasette, incassi migliaia di miliardi pubblici derivati dal lavoro e dalla fatica di tutta la collettività e si rilanci come rinnovato traghettatore verso il futuro.

Chi ha sbagliato paghi, e non è solo una questione di soldi.

domenica 12 ottobre 2008

Geronzocrazia


In questa girandola di speculazioni, abissi e vacuità propositiva sguazza il signor Cesare Geronzi.
Il signor Geronzi da Marino (la sagra c'è del vino) si fa le ossa nella Banca d'Italia, scalpita fra i dirigenti di banca cosicchè nel 1986 diventa Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Roma; in seguito tra acquisizioni e fusioni ricopre nel 2002 la carica di Presidente di Capitalia, il gruppo bancario composto da vari istituti romani, il Banco di Siclia e Bipop Carire. Diventa il 3° gruppo bancario italiano per numero di sportelli. Il 1 ottobre 2007 il gruppo è acquisito dall'Unicredit di Profumo e Geronzi finisce alla presidenza del consiglio di sorveglianza (cioè il garante formale) di Mediobanca, la storica Banca di finanziamento alle imprese del paese, il salotto buono della finanza, la bussola del capitalismo industriale e finanziario in Italia.

Il signor Geronzi è diventato negli anni il fulgente emblema di come un banchiere possa riuscire a mettere le mani praticamente ovunque così da dettare tempi e regole del gioco, ma...contemporaneamente non sembra essere esposto alle luci della ribalta che meriterebbe.
Possiamo dire che tra lui ed il fatto ci sono talmente tanti fatti strumentali intermedi che lui è sempre cosa altra dal fatto.
Eppure ha immense partecipazioni personali nell'editoria: Risparmio Oggi (diretto da Bruno Vespa), il Tempo, Il secolo d'Italia e Class. Pensate di averlo inquadrato? Io non credo. Le partecipazioni continuano: L'Osservatore Romano, L'Unità, Famiglia Cristiana, Il Manifesto e visto che non si fa mancare niente anche Topolino.
Geronzi è anche un fine politico: storico amico di Andreotti, tramite la Banca di Roma finanza i Ds per le elezioni del 1996 con ben 520 miliardi, il suo avvocato è Guido Calvi (Pc-Pds-Ds-Pd), ha inoltre inserito Marina Berlusconi e Tronchetti Provera nel consiglio di amministrazione di Mediobanca.
Si occupa di sport. Ai tempi di Capitalia aveva il 49% delle partecipazioni di Italeptroli, la società che controlla la Roma, ha messo la figlia ai vertici della Gea, la società che gestiva l'intreccio procuratori-giocatori-arbitri.

L'onnipresenza porta spesso il banchiere Geronzi a commettere errori di valutazione. A parte la condanna per Bancarotta ad 1 anno e 8 mesi nel processo Italcase, pendono su di lui gli spettri di una condotta fraudolenta nei confronti dei risparmiatori quando, da presidente di Capitalia, seminava in fretta e furia obbligazioni Cirio e Parmalat così da disfarle dal portafoglio del gruppo bancario.
In settimana è venuto fuori che nel decreto legge volto a permettere a cordate interne od estere di salvare Alitalia sia stata scritta una riga a proposito della bancarotta fraudolenta. L'emendamento indicava che il procedimento penale sarebbe scattato solo in caso di fallimento dell'azienda in questione, non in caso di commissariamento (il caso di Cirio e Parmalat).
I relatori formali di questo piccolo fraintendimento sono i senatori Angelo Cicolani ed Antonio Paravia, quest'ultimo, interpellato sull'argomento, ha asserito (www.antonioparavia.it) che "Io complice? Tanzi mi è antipatico e Cragnotti è laziale". Il mistero s'infittisce, Berlusconi non ne sapeva niente e Tremonti minaccia dimissioni se l'emendamento verrà approvato anche la Camera, l'emendamento cade.

Che sia Tremonti contro l'asse Gianni Letta-Geronzi (si ricordi che Letta, vicepresidente della Fininvest Comunicazioni e costante sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei governi Berlusconi è stato membro dell'Advisory Board della banca Goldman Sachs) o la faida Geronzi-Profumo (colpevole quest'ultimo di essere poco "politico", non entrando per esempio nella cordata Alitalia) il signor Cesare non vede rieccheggiare quanto spetterebbe il suo bel nome.

Giovedì 9 Ottobre, in piena crisi bancaria mondiale, il giorno in cui si innesca il dibattito sul suddetto decreto legge salva-Geronzi, il giornalismo italiano dà pieno sfoggio della propria audacia:
Repubblica, editoriale non firmato in cui si nomina una sola volta il nome di Geronzi.
Corriere della Sera, articolo del giornalista anti-casta Sergio Rizzo a pagina 14, non nomina Geronzi, lo cita una volta tramite un virgolettato del segretario dell'Amn Giuseppe Cascini.
Sole 24 Ore, pagina 41 senza nessun riferimento diretto o indiretto al banchiere.

L'opposizione veltroniana non solo non lo nomina, ma neanche accenna alla questione dell'emendamento (centrerà per caso il già citato potente di turno Guido Calvi?), scoperto unicamente dalla giornalista di Report Milena Gabanelli.

Aspettiamo un segno.

Excuse me mister Fuld....


Il sito internet www.pattichiari.it è un portale voluto dall'Abi (associazione bancari italiani) per promuovere "un grande progetto di cambiamento dei rapporti tra cliente e banca, con un obiettivo preciso: fornire ai consumatori strumenti concreti per capire di più e scegliere meglio". Peccato che il 13 settembre scorso nella graduatoria delle obbligazioni a basso rischio abbia inserito quelle della Lehman Brothers. La banca d'affari fallirà due giorni dopo, il 15 settembre. Le obbligazioni sottoscritte fino a questa data diventano carta straccia, o per dirla come nel film "Compagni di scuola" di Verdone: dopo il 15 settembre te ce soffi er naso, così risparmi in Kleenex.

Il signor Richard Fuld è stato il CEO (amministratore delegato) della Lehman Brothers ininterrottamente negli ultimi 14 anni. E' stato convocato a testimoniare sulle cause e le responsabilità della sua condotta da una speciale commissione di deputati del Congresso americano, presieduta dal repubblicano Henry Waxman una settimana fa. Durante l'interrogazione, a dir poco formale, sono emerse cifre e responsabilità che più di ogni altra cosa circoscrivono il "tenore umano" della crisi finanziaria in atto.

Nel 2000, Fuld ha accumulato un compenso complessivo di 52 milioni di dollari, nel 2001 98 milioni, nel 2005 89 milioni e nel 2006 poco più di 100 milioni. Complessivamente dal 2000 al momento del fallimento, il super manager si è messo in tasca 540 milioni di dollari; solo in Italia (fonte: Codacons) dal fallimento della Lehman Brothers 40.000 piccoli risparmiatori perderanno tutto.

Vorrei trascrivere l'interrogazione integrale (fonte www.ilsole24ore.com). E' lunga, ma ne vale la pena. Credo che ogni parola di Fuld sulla questione valga più di 1000 parole di chiunque altro.



Ma non le sembra di aver guadagnato troppo, visto che la banca è poi fallita?
No. Se si guarda alla media annuale, circa 60 milioni di dollari, ero ampiamente nei parametri del settore. E poi il nostro comitato remunerazioni si è sempre preoccupato di garantire l'allineamento tra le retribuzioni dei manager e l'interesse degli azionisti.

Chi nominava il comitato? Lei aveva un ruolo?
Oggi la nomina spetta al comitato governance della banca, ma in passato avevo un ruolo importante.

Non crede che sia immorale aver dato una liquidazione di 20 milioni di dollari a due dirigenti che lei aveva licenziato pochi giorni prima del fallimento?
La cifra è stata giudicata appropriata dal comitato remunerazioni

Molti si chiedono se gli investitori debbano avere il diritto di rivalersi contro un'azienda che ha preso decisioni sbagliate per massimizzare il profitto a breve, finendo in bancarotta... Lei che ne pensa?
Guardi, non sono orgoglioso di aver perso così tanti soldi, ma ritengo che il sistema funzioni e che tutti noi abbiamo agito in buona fede.

Ripeto. Non crede che gli investitori abbiano il diritto di recuperare il loro denaro rivalendosi sui bonus milionari pagati al management?
Non ho avuto liquidazioni milionarie o paracaduti d'oro. E non ho mai venduto le mie azioni

Nel 2004 la Sec permise alle banche d'investimenti di aumentare la leva finanziaria. Crede che fosse una decisione appropriata? E lei ha mai fatto pressioni sulla Sec in quel contesto?
Che io sappia, la banca non ha fatto pressioni. E la questione della leva è stata fraintesa. Esiste una leva lorda e una netta e metà del nostro bilancio veniva da emissioni del Tesoro. Abbiamo fornito un elevato ammontare di liquidità, circa 300 miliardi di dollari, agli investitori istituzionali che possedevano titoli di debito del Tesoro Usa.

Mi colpisce il fatto che abbiate finanziato a piene mani membri del Parlamento, tra cui Hillary Clinton. Erano spese di lobbying a carico della banca?
No, erano fondi prelevati da un fondo autorizzato.

Visto quello che è successo come pensa che dovrebbe cambiare il sistema dei controlli?
Il contesto in cui furono concepite le regole attuali è superato. Allora si scambiavano 10 milioni di azioni al giorno, oggi siamo vicini a 5 miliardi. L'elettronica ha globalizzato il mercato e gli investitori oggi hanno il diritto di indirizzare il loro denaro sulle attività che rendono di più e il denaro si muove velocemente. Per questo ritengo che la regolamentazine nazionale sia superata e credo che serva una regolamentazione a matrice più globale nella sua natura. Mi focalizzerei anche sulle riserve di capitale, chiedendo più capitale sugli asset meno liquidi. E credo che serva una maggiore comprensione del mark-to-market: dà numeri di un tipo in contesti normali e tutt'altri risultati in tempi di crisi. Una riforma delle regole deve partire proprio da questo punto.

Passiamo agli ultimi giorni della Lehman. Un'email fra un alto dirigente della banca e il responsabile mondiale dell'investment banking rivela che molti broker erano preoccupati e che sulla banca c'era una percezione estremamente negativa. In particolare, nell'email era scritto: «Tutto il duro lavoro che abbiamo fatto potrebbe sgretolarsi velocemente. I senior manager devono essere meno arroganti e ammettere i gravi errori che sono stati fatti. Non possiamo continuare a dire che siamo grandi e forti e che il mercato non ci capisce». Quando ha letto questa email che cosa ha fatto? Sono curioso di saperlo...
Mi scusi, ma qual era la data?

Il 9 giugno 2008. Ora ricorda?
Non so...Onestamente no.

Glielo dico io che cosa ha fatto. Tre giorni dopo ha licenziato Aaron Allen, il direttore finanziario, e Joseph Gregory, il direttore operativo. Lei non si è assunto nessuna responsabilità. Anzi, finora ha solo attribuito le colpe ad altri. Ora le chiedo: è d'accordo sul fatto che sotto la sua guida la Lehman abbia assunto una leva finanziaria troppo alta? Risponda sì o no.

Non è facile rispondere. In certi momenti la leva è stata molto elevata, ma quando ho capito che il mercato stava peggiorando la leva è stata ridotta gradualmente.

Allora la risposta è no?

Abbiamo fatto tutto il possibile per ridurre la leva

Allora vuol dire che lei si sente la coscienza a posto, che ha fatto tutto ciò che era giusto fare...

Sì, signore

Bene. Ma allora non prova nessun rimorso per aver speso 10 miliardi di riserve di cassa della banca in bonus, stock dividend e stock buy-back, proprio mentre fronteggiavate una tremenda crisi di liquidità? Non si sente in colpa?

Su questa storia è stata fatta troppa confusione e ora vorrei fare chiarezza. Quei 10 miliardi erano il compenso ricevuto dai nostri dipendenti sulla base di un piano di stock-option con scadenza a 5 anni. Abbiamo dovuto riacquistare sul mercato titoli per lo stesso importo per evitare una diluzione dei nostri azionisti. Non vedo che cosa ho fatto di male...

Non sarebbe stato meglio usare quella somma per ridurre il debito, visto che stava diventando insostenibile?

Eravamo alla fine dell'anno scorso e il problema del debito ancora non esisteva

Ma lei non crede che sia un furto il fatto di non rivelare al mercato che un titolo garantito da un mutuo abbia come sottostante un prestito superiore al reale valore della proprietà? E qual era il ruolo di Lehman in questo business?

Non credo che qualcuno possa intenzionalmente strutturare una cartolarizzazione in questo modo. E per quanto riguarda il ruolo della banca, tutte le cartolarizzazioni sono state organizzate sempre nell'ottica del valore per gli investitori.

Quindi vuol dire che non avete mai gonfiato un mutuo o il valore di un mutuo poi cartolarizzato...

Come posso dirlo? Non guardo mica i mutui uno per uno

Il 10 settembre, in una conference call, lei ha rassicurato gli investitori affermando che non c'era necessità di nuovi capitali e che gli asset immobiliari erano adeguatamente valutati. Cinque giorni dopo ha dichiarato la bancarotta: non ritiene di aver ingannato gli investitori? Le ricordo che è sotto giuramento...

No, non ho ingannato nessuno. Le mie affermazioni erano basate sulle informazioni di cui disponevo

Eppure solo il giorno prima, 9 settembre, Lehman aveva bisogno di 5 miliardi di dollari per tenere la barca a galla. Le avevano consigliato di rinunciare alla conference call, ma lei l'ha fatta solo per dire che tutto andava bene...

È vero. Ma quelle erano le informazioni di cui disponevo. E non voglio aggiungere altro.

Lei ha detto che ciò che è successo a Lehman poteva accadere alle altre banche di Wall Street. Però è fallito solo lei...

Se potessi tornare indietro, mi comporterei diversamente sul business dei mutui e sull'immobiliare commerciale. E in generale su tutte le operazioni a leva. Ma se l'avessi fatto allora, sarei stato attaccato e trattato come un folle: è facile giudicarmi ora. Il mio errore è stato pensare che la crisi dei mutui era limitata al settore residenziale e che il settore commerciale, dove eravamo più esposti, non avrebbe subìto grandi contraccolpi

Ha provato a raccogliere capitali nella settimana prima della bancarotta?

L'ho fatto una, due, tre settimane prima...

In retrospettiva, non crede che tutto il boom delle cartolarizzazioni, del credito facile, della corsa a concedere mutui fuori portata per le famiglie sia stato come un castello di carte destinato a crollare?

Non sono sicuro se sia stato un castello di carte

Lei ritene giusto che Aig sia stata salvata dal Governo e Lehman no?

Bè, chiaramente avrei voluto essere salvato anch'io. Certo ancora non mi spiego perché siamo stati gli unici a non essere salvati. E ciò che mi colpisce è che il venerdì prima del fallimento, Lehman e Merrill Lynch erano nelle stesse condizioni: loro la domenica hanno accettato la fusione con Bank of America, noi siamo falliti perché la trattativa con Barclays non si è chiusa.

Mr. Fuld, in un memo interno lei parla con entusiasmo di una cena con il segretario al Tesoro Henry Paulson nell'aprile scorso. È vero?

Credo proprio di sì, ma non sono certo che a cena fossimo solo noi due.

Ma si incontrava con Paulson regolarmente?

Abbiamo avuto diverse conversazioni.

Nel memo lei dice che Paulson era entusiasta della banca e soprattutto del modo in cui raccoglieva capitali. Crede che Paulson l'abbia ingannata?

Mi scusi, ma credo che...non so cosa intende...

Le chiedo se si sente ingannato?

No, non credo Paulson mi abbia ingannato

Allora è lei che ha sbagliato?

Non lo so. Però posso dirle che mi sveglio ogni notte chiedendomi che cosa avrei dovuto fare di diverso, dove ho sbagliato. E so per certo che per tutto il resto della mia vita, a prescindere da quello che accadrà, avrò il rimorso e il dolore per ciò che è successo.

lunedì 6 ottobre 2008

L'attacco dei Ninja


Tira una brutta aria. Oggi le due persone più influenti d'Italia, Alessandro Profumo e Joseph Ratzinger, hanno trattato lo stesso argomento: il primo ha detto che l'approvazione dell' aumento di capitale di 6,6 miliardi da parte del cda di Unicredit è una solida base antispeculazione, il secondo invece ha parlato a braccio (cosa assai rara) di come la vacuità dei soldi sia incomparabile con la solidità della Parola di Dio.
La borsa sembra aver dato ragione al secondo visto che Milano ha perso l'8,24% e il Dow Jones a New York sta perdendo, mentre scrivo, circa il 5%.
Come si è arrivati a questo? E' possibile che le richieste di alcune merchant bank americane al Congresso e ad Alan Greenspan (precedente governatore della Banca Centrale americana) a proposito di una piccola deregolamentazione sui mutui abbiano portato a questo tracollo finanziario e a questa totale incapacità di farne fronte? La risposta è sì.

L'integrazione finanziaria mondiale è un fiume in piena. Merchant Bank, banche commerciali, fondi di investimento, banche d'affari e mediocredito hanno una quantità di partecipazione reciproche che a confronto gli incroci delle correnti interne del Partito Democratico impallidiscono.

I soldi e le informazioni viaggiano a velocità siderali, la concorrenza dei fondi di investimento è sempre più accesa, si ricorre a meccanismi vorticosi per aumentare i rendimenti attesi come la forzatura artificiosa delle quotazioni azionarie ed il prestito ad alto rischio (e ad alto tasso d'interesse). Il principale strumento finanziario per permettere quest'ultima categoria di transazioni è il prestito subprime. Infatti mentre il prestito prime è concesso a debitori con un'accertata capacità di risoluzione del debito, i subprime sono concessi a pignorati, bancarottisti e genericamente persone che detengono un'elevata probabilità di inadempienza. I soggetti in questione sono chiamati in gergo
Ninja, cioè No Income, No Job or Assets.
Perchè prestare dei soldi a questi poveri sbandati? Molto semplice, perchè la deregolamentazione degli scambi creditizi ha permesso di prendere questi titoli creditizi (cioè il diritto a riscuotere i soldi derivanti dai prestiti subprime) e "legarli" ad obbligazioni emesse. In poche parole: io banca concedo un prestito a te Ninja, siccome è alta la possibilità di inadempienza pareggio il rischio con interessi molto alti; ora ho in mano dei crediti che sì mi rendono molto, ma scottano di insolvenza, per dormire tranquillo emetto delle obbligazione direttamente connesse a la risoluzione di questi prestiti, se il ninja paga ci guadagno io banca e la persona che ha acquistato queste obbligazioni, se il ninja non paga non essendo l'obbligazione un titolo a capitale garantito io banca non sono più tenuta a pagare e accollo il danno al risparmiatore che mi aveva acquistato l'obbligazione.

Non fa una piega. Le banche possono incassare interessi elevatissimi e trasferiscono i rischi a terzi. Ora, sembrerebbe un meccanismo in grado di andare avanti ad oltranza. Piccolo problema, nel 2006 si sgonfia la bolla immobiliare e, visto che i prestiti subprime sono concessi essenzialmente per l'acquisto di immobili, una piccola fetta di debitori si scoprono inadempienti (un calo minimale: 0,8% nell'agosto 2007).
A questo punto il panico di insolvenza generale (panico ingiustificato dai numeri) innnesca una vendita di massa di questi titoli derivati dai mutui subprime: tutti vendono, nessuno compra, quello che le banche mettevano in attivo (tanto ci guadagnavano comunque) si trasforma in un boomerang, i bilanci sono da riscrivere, comincia il crollo...

lunedì 8 settembre 2008

Google Earth


"Quasi monopolista" è un termine ad hoc coniato per Google: 63% della quota di mercato. A distanza siderale l'argento di Yahoo (13%), umiliato Microsoft (3%).
Cosa significano queste cifre?
Un ragazzo di un liceo scientifico di Biella cerca la versione di Sallustio, un appuntato del comando dei Carabinieri di Barletta cerca indizi su un sospettato, una massaia di Lima cerca una ricetta, un fruttivendolo di Bangkok cerca i potenziali fornitori.
Una recente indagine di mercato ha indicato come la metà degli americani cerchi online dei suggerimenti prima di andare a fare spese in un
qualsiasi negozio, e ormai 7 acquisti su 10 sono perfezionati dopo aver consultato un motore di ricerca.
Jeff Chester, direttore dela Digital Democracy, dice che la capacità di Google di raccogliere informazioni private sui cittadini fa impalledire la NSA (National Security Agency). Personalmente non so quale delle due "aziende" mi ispiri più fiducia, il problema è che la seconda almeno a livello formale deve rendere conto al Congresso, la prima solo a se stessa.

Google ha sempre più informazioni su ognuno di noi. Se qualcuno di voi, tantissimi, lettori ha Gmail come posta elettronica può fare un piccolo esperimento: provi a scrivere ad un amico che ha intenzione di far un viaggio a Parigi, o che vuole comprare l'ultimo libro di Camilleri, insomma qualcosa che implichi una spesa, si ritroverà il giorno dopo con una serie di link pubblicitari inerenti all'argomento in questione. Non ci sta un grigio burocrate che legge, intercetta ed informa; ci sta una macchina.

Il vertiginoso sviluppo delle IT e del web 2.0 ha infuocato la corsa alle informazioni di carattere commerciale (e ci includo anche peculiarità maniacali, perversioni sessuali, confidenze recondite, dialoghi con se stessi....) al pari di una corsa agli armamenti e Google sta trionfando su tutta la linea. Gli impiegati nelle vari sedi della multinazionale entrano in scarpe da ginnastica, si spaparanzano su poltrone ergonomiche, ammirano i pioppi dentro l'ufficio ed agiscono. Agire significa seminare morte nel mercato: le indagini di mercato della Nielsen, i suggerimenti su come investire sui siti della ComScore, le Pagine Gialle italiane. Tutto frana e la posizione si accentra, diventa sempre più autonoma, sempre più insindacabile.
L'evoluzione porterà ad un messaggio pubblicitario eclettico e super mirato per ogni singolo individuo, se questo può far piacere dal punto di vista edonistico si provi a pensare a come si può definire la libertà di quell'individuo.
O più semplicemente: se mi si rompe lo scaldabagno sarò più portato a chiamare il tecnico che conviene di più a me o quello che paga più Google nella corsa alle prime posizioni della ricerca "riparatore scaldabagno"?

A questo punto l'azienda di Mountain View deve scegliere se attenersi a al prorpio motto "Don't be evil!" oppure seguire con foga profitti illimitati sviluppando un nuovo agghiacciante paradigma di persuasione e di propaganda.

Ci si chiede se Google si specchi più negli occhi spensierati di Page e Brin o in quelli pragmatici-aziendalisti del presidente Schimdt: e se si specchiasse solo negli occhi dei propri azionisti?

domenica 6 luglio 2008

I fondi di investimento


I venti di crisi finanziaria vengono da lontano, non da troppo lontano però.
Non sono le conseguenze di chissà quali tendenze cicliche, sono il frutto di scelte compiute da uomini e donne.

Qual è l'ethos finanziario in America in quest'ultimo decennio?
Quanto era strutturalmente fragile il sistema quando ancora macinava utili e plusvalenze finanziarie elevatissime?
La risposta sta in questa terza domanda a cui cercherò di ridpondere in questo post:
Come sono stati genstiti i risparmi ed i profitti derivati dall'economia reale (cioè dall'economia industriale organizzata da capitale e lavoro)?

L'evoluzione della gestione del risparmio, che siano fondi pensione (in America privati, non c'è un inps), profitti delle imprese o quanto riesce a mettere da parte un dentista di Portland è sempre più nelle mani di fondi di investimento comuni (attività svolta anche dalle grandi merchant bank). La peculiarità di questo sistema è che tu risparmiatore trasferisci i tuoi soldi per un tempo x ad un tasso di interesse molto più alto di quello bancario o obbligazionario, tale tasso è garantito da una diversificazione degli investimenti ad opera di specialisti del mercato mobiliare. La sempre più accentuata concorrenza tra questi fondi comuni (basata su chi garantisce un tasso di rendimento più alto) ha generato un mercato oligopolistico super competitivo. Se prima aveva un vantaggio competitivo il fondo che investiva in maniera più lungimirante su società le cui azioni sarebbero cresciute più delle altre, garantendo ai propri clienti un rendimento maggiore, progressivamente si è giunti all'idea che gli stessi fondi avrebbero potuto "forzare artificialmente" la crescita azionaria delle proprie partecipazioni mediante il seguente metodo:
  • I grandi fondi di investimento detengono rilevanti partecipazioni azionarie nelle imprese statunitensi. Queste partecipazioni oltre a diritti monetari (dividendi) conferiscono diritti amministrativi, nel senso che se si detiene il 15% del capitale di una grande multinazionale, durante un'assemblea dei soci puoi imporre un amministratore piuttosto che un altro. I fondi incaricano dei propri manager ad andare a ricoprire tali funzioni di amministazione con l'unico scopo di far schizzare alle stelle la quotazione azionaria della società nel minore tempo possibile. La maggior parte delle volte questa serie di operazioni sono deleterie per la sussistenza delle imprese perchè sono improntate su guadagni di brevissimo periodo che minano le basi di uno sviluppo sostenuto negli anni a venire. Queste strategie si basano generalmente su: esuberi del personale, disinvestimento nella direzione Ricerca e Sviluppo, cessione di rami d'azienda in surplus (quindi richiesti dal mercato), insomma attività che conferiscono un'importnte renumerazione immediata ma lasciano non pochi problemi per il futuro gestionale dell'azienda. Per stimolare il managment a compiere questo tipo di operazioni il criterio renumerativo prevalente è quello delle stock options, cioè il diritto di prelazione o il conferimento gratuito di azioni. Risultato finale: i manager incassano cifre esorbitanti per pochi mesi di lavoro (nell'ordine di decine di milioni di dollari), i fondi incassano altissime renumerazioni derivanti dalle loro partecipazioni azionarie e le aziende vengono lasciate alla deriva.

Grazie a questo sistema i fondi di investimento possono investire, smantellare, guadagnare e disinvestire così da garantire al proprio pacchetto clienti guadagni molto alti in periodi relativamente brevi ed accumulare vantaggio competitivo nei confronti degli altri fondi.
Il grosso effetto collaterale di questa logica è lo smembramento di realtà produttive sane in maniera talmente decisiva che nel'ultimo decennio l'aspettativa di vita media di un'impresa americana si è abbassata da 20 a 15 anni.
Il paradosso sta quindi nel fatto che le aziende sono manovrate da un managment che non ha interesse nel loro sostentamento e tutto questo mediante soldi di persone (i risparmiatori che conferiscono nei fondi di investimento) che non ne sono nemmeno al corrente.

Quanto può durare un capitalismo industriale le cui logiche sono dettate da un capitalismo finanziario la cui avidità è pareggiata unicamente dalla sua miopia?
Non è neanche più un problema di dove vuole andare il timoniere, la questione è: esiste un timone? E se non esistesse, sarebbe fattibile anche solo pensarne uno?

giovedì 1 maggio 2008

I maggio


Anche questo Primo Maggio, come gli ultimi tre del resto, è stato dedicato alla tragedia delle morti sul lavoro. Dal palco di Ravenna i tre sindacati confederali, in un tripudio di bandiere inneggianti al Partito Democratico e alla Sinistra Arcobaleno, “dicevano no” alle morti bianche. Rispondeva il palco di San Giovanni a Roma dedicando la kermesse musicale a questo flagello e ai 70 di Adriano Celentano (con lo stesso tono di voce e lo stesso trasporto emotivo della piazza)

Conclusione mass mediatica: un coro di no alle morti sul lavoro.

Peccato che nessun organo di informazione abbia riportato le dichiarazioni pre insediamento di Emma Marcegaglia, neo presidente di Confindustria, di appena dieci giorni fa:“le norme sulla sicurezza sono troppo restrittive e tratteremo con il nuovo esecutivo per alleggerirle”. Che importa riportare questo punto di vista, l’importante sembra annullare qualsiasi potenziale conflitto (anche solo verbale) così da riempire le notizie con cori unitari, un collage privo di senso che è lungi dall’essere costruttivo e pragmatico.

Avrà forse ragione il signor Veltroni che candida contemporaneamente un operaio della Thyssen e il presidente di Federmeccanica perché tanto capitale e lavoro remano tutti nella stessa direzione? La risposta è semplice: no.

Il dramma delle morti sul lavoro è la diretta conseguenza del sempre più esiguo potere contrattuale della forza-lavoro nei confronti del capitale.

Ieri è uscito uno studio della Bri (Banca che regola i circuiti di pagamento transnazionale tra le banche commerciali) che attesta come in Italia dal 1983 siano passati da renumerazione degli stipendi alla renumerazione del capitale 120 miliardi di euro, pari all’8% del Pil. Senza questa deriva ci sarebbero stati 7 mila euro netti in più all’anno (583 euro al mese) per tutti i 23 milioni di lavoratori in Italia. Una cifra più alta di:

· Qualsiasi finanziaria della storia (quanto varia la redistribuzione per mano dello Stato nell’anno successivo).

· La somma di tutte le imposte evase in Italia in un anno.

· Qualsiasi riforma di alleggerimento fiscale potenzialmente affrontabile dal nuovo esecutivo.

· Quanto possono chiedere rivendicazioni salariali nel corso di un decennio.

Morti sul lavoro, evasione fiscale, diminuzione delle tasse, scioperi, rivendicazioni sindacali sono battaglie che impallidiscono rispetto al cambiamento antidemocratico in atto. I soldi passano dagli stipendi ai profitti, i soldi dei profitti passano dall’autofinanziamento ad il mero incasso personale.

Gli indici di disuguaglianza aumentano, il potere d’acquisto diminuisce, l’economia italiana ristagna e sempre meno persone si accaparrano sempre più reddito.

Le morti sul lavoro (o omicidi sul lavoro?) sono solo il termometro insanguinato di questi cambiamenti. Dedicare il primo Maggio alle morti sul lavoro invece che alla nuova redistribuzione è come curare un malato concentrandosi sul….termometro.

martedì 5 febbraio 2008

Fine della Rappresentanza: II La democrazia madre


E' una corsa inedita, senza favoriti. La rete la sta facendo da padrona. Il cambiamento è alle porte, chi saprà raccogliere la sfida? I candidati hanno capito che è giunto il momento di voltare pagina. E' il nuovo Kennedy, il nuovo Regan, la moglie di Kennedy sta con lui, il resto della famiglia vuole lei. L'America è stanca di George Bush. We can, together we can.

In verità c'è un'unica costante: dalle elezioni del 1980 chi investe più soldi nella campagna elettorale vince le elezioni, traslato questo dato numerico può essere tradotto così: più riempi la sala di coriandoli e palloncini, più hai possibilità di vincere. I coriandoli e i palloncini sono gentile concessione delle più grandi corporation mondiali che per non rischiare finanziano più campagne contemporaneamente.

La rappresentanza perde aderenza con il senso comune. Il fatto che i grandi interessi economici esproprino la politica delle sue funzioni primarie è ormai un fatto sempre più difficile da dissimulare. I tentativi a questo proposito si sviluppano e si evolvono in continuazione. Loghi brillanti, rottura della quarta parete, lacrime. Non mancano i grandi classici: Martin Luther King, vocazione religiose, precedenti di droga, divorzi, omosessualità. Insomma, una grande parate circense fatta di trapezi, clown, contorsionisti e donne cannone.

L'unico modo per distrarre dal nulla è spettacolarizzarlo.

mercoledì 16 gennaio 2008

Il Papa a scuola


Il Papa è stato invitato dal Rettore dell'Università "La Sapienza" di Roma in occasione dell'apertura dell'anno accademico. Non è il primo Papa insignito di tale compito, i suoi due principali predecessori dal dopo guerra Paolo VI e Giovanni Paolo II avevano già avuto occasione di presenziare in quella che è la principale fabbrica di saperi di Roma, città del papato e di cui il Papa è vescovo.
In quest'occasione si è inceppato qualcosa. La progressiva intromissione di vincoli religiosi in tematiche sociali (omosessualità, matrimoni di fatto, aborto) e scientifiche (sperimentazione mediante utilizzo di cellule staminali, procreazione in vitreo, teoria evoluzionistica) ha costretto un gruppo di professori della Facoltà di Fisica a scrivere una lettera al Rettore in cui si affermava l'inopportunità della presenza di Ratzinger in un contesto scientifico, moltissimi studenti hanno amplificato la richiesta con iniziative di disturbo e di opposizione alla visita. Il Papa rinuncia adducendo a motivazioni precauzionali in tema di sicurezza per un possibile prestigio infranto nei confronti di una tunica bianca che bianca si prefigge di restare in ogni dove appaia.

Scattano le reazioni, tutte decise, tutte unilaterali: il fatto costituisce una gravissima violazione della libertà di espressione essenziale in un dibattito democratico. Rifondazione Comunista balbetta che tutti hanno diritto di parola. Vengono chiamati in causa potenziali difensori d'ufficio dei contestatori come Dario Fo ed Adriano Sofri ma la musica non cambia, una massa informe prende le sembianze di un'unica scudisciata contro chi si oppone alla visita papale.

Una considerazione: il Papa non veniva a dialogare con nessuno, veniva semplicemente a leggere un discorso in Aula Magna ad un centinaio di auditori filtratissimi ed accondiscenti. In pratica veniva ad assumere le solite sembianze di infallibilità dialettica di medievale memoria senza alcuna possibilità di replica o di confronto (quel confronto democratico che adesso sventolano come una conquista imprescindibile).
Che il Papa sia un figura insignita da Gesù Cristo di essere il proprio Vicario in terra e che il suo verbo sia per questo incontestabile ed infallibile rientra nella logica dei credenti (non del popolo tutto) ed io personalmente non mi sento di impedirlo, ma questo verbo che ogni Domenica da un pulpito incontestabile condanna il progresso scientifico in quanto abisso di relativismo morale e preme affinchè leggi dello Stato ne minino la libertà si espone per forza a possibili opposizioni che solitamente rimangono supine, destituite dal "sentire comune" politico-mediatico, ma che giocando in casa trovano il coraggio di innalzarsi a volontà.
Volontà di opposizione a chi senza autorità condanna e non presta orecchio a qualsivoglia risposta, volontà di contestazione a chi si innalza incontestabile, volontà di impedire la presenza di un manto bianco dalla dialettica insormontabile in un luogo metaforicamente gravido di sapere, di scoperte, di dubbi.

martedì 15 gennaio 2008

Fine della Rappresentanza: I L'Aborto


Maschi magri, maschi grassi e maschi grassissimi (comunque un pulpito totalmente maschile) si contendono le platee cimentandosi in gravose riflessioni sull'aborto e sulla sua dichiarata vocazione omicidia. Divampano le dichiarazioni in formato tg del tipo "omicidio perfetto", "colpire i più deboli di tutti" e addirittura in un telegiornale (la7) nazionale un giovane dalla sguardo pecuro: "quando ero embrione non mi avrebbe fatto piacere -essere abortito-".
L'incapacità o la non volontà da parte del sistema mediatico di accompagnare questi giudizi personali da una riflessione del tipo: "Una cosa sono le disquisizioni sull'aborto un'altra la possibilità per una donna, in una democrazia matura, di abortire o no" è lampante.
Ed è lampante anche la totale latitanza culturale dei partiti "de sinistra" che neanche trovano le parole per contrastare un'avanzata retrograda di tale portata.

La novità che vorrei sottolineare è che la forza procreatrice di questo dibattito non è da cercare negli organismi ecclesiastici (da cui è comunque avallata) ma da una figura controversa come Giuliano Ferrara che, dopo un passato in vari ambiti di sinistra ed un presente da berlusconianopseudoclericalevicinoalleposizionidiveltroni, accusa un vuoto pneumatico di senso che non sa come colmare.
Mi spiego meglio: Ferrara è unto e ciccione e non condivido quasi nulla di quello che dice ma è sicuramente una persona di un certo spessore intellettuale, uno dei principali portavoce del potere costituito che (al contrario di molti) attorcigliandosi sulle parole mostra una spiccata consapevolezza della realtà. Inserito in una politica ormai completamente esautorata da qualsiasi potere (quindi da qualsiasi rappresentanza) e puramente ridotta a mero strumento attuativo degli interessi dei grandi gangli economici, si ritrova in un mondo in cui le decise opinioni di cui riempiva il suo ego ed il suo labile credo non hanno più alcun significato; il vedere quotidianamente arrabattarsi politici di destra e sinistra senza che nessumo di questi mostri una propria linearità o quantomeno un proprio profilo lo hanno spinto in una crociata totalmente pregiudiziale, lo hanno spinto a trovare un senso al di là dei criteri della rappresentanza andando a parare su di un tema assolutamente pretestuoso.
E' la spasmodica ricerca di contenuti che muove un potente giornalista intelligente a cercare altro, e puntale si accodano dichiarazioni qua e là per Montecitorio e Palazzo Madama di politici che si accavallano per esprimere anche loro su un giudizio che il loro subconscio suggerisce "di contenuto". Perchè nessuno parla di riforme del mercato del lavoro o di Welfare che permettano ad una 24enne di avere una stabilità tale da non essre costretta ad abortire? Perchè è una decisione che non dipende da loro

Mi avvalgo quindi di questo dibattito non per entrarne nel merito ma per sottolineare come sia ormai chiaro che questa rappresentanza non ha più senso di essere. Il problema è mondiale, noi per fortuna siamo in Italia dove è tutto è più grossolano e quindi esplicito.